La sorveglianza dei dipendenti

Dott. Alessandra Frigerio

 

SOMMARIO

Art. 6 St. Lav.: visite personali di controllo

Art. 2 St. Lav.: le guardie giurate e la tutela del patrimonio aziendale

Art. 3 St. Lav.: il personale di vigilanza

 

Art. 6 St. Lav.: visite personali di controllo

La legge 20 maggio 1970, n. 300, è stata appositamente prevista al fine di approntare un sistema normativo in grado di garantire la più ampia ed opportuna tutela in ambito di libertà e dignità dei lavoratori, di libertà sindacale e di attività sindacale nei luoghi di lavoro.

Per quel che, poi, concerne l’obiettivo della presente relazione, il legislatore italiano ha voluto condensare negli artt. dal 2 al 6, della medesima legge, la disciplina dei cosiddetti "limiti ai poteri di controllo del datore di lavoro".

Partendo dall’esame dell’ultima delle norme poc’anzi citate, il predetto art. 6 dello Statuto dei Lavoratori disciplina peculiarmente le ispezioni sulla persona del lavoratore, poste in essere al fine di tutelare l’interesse del datore di lavoro a prevenire la sottrazione di beni aziendali [1].

Conformemente alla pregnante necessità, emersa soprattutto nei primi anni ’70, di garantire la protezione dei beni del lavoratore, individuati nella "libertà" e "dignità" dello stesso, la possibilità di porre concretamente in essere ispezioni era in linea di principio vietata.

Si è detto "in linea di principio", in quanto la prospettata impossibilità si tramutava in possibilità, come tuttora accade, al riscontrarsi della presenza della "indispensabilità (dell’ispezione) per la tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro, delle materie prime e dei prodotti".

La dottrina [2] ha, così, approntato le condizioni ritenute necessarie al fine di vagliare l’indispensabilità del ricorso allo strumento in esame ed individuabili nelle seguenti:

- impossibilità per l’imprenditore di avvalersi di alternativi strumenti di controllo delle tre categorie patrimoniali codificate, quali l’adozione di sistemi di registrazione dei movimenti delle merci o di misure atte a disincentivare gli ammanchi ed a favorire la condotta fedele del dipendente (sul punto, rilevante appare la pronuncia della Suprema Corte – Cassazione civile, 19 novembre 1984, n. 5902, in Foro it., 1985, I, 439 – con la quale è stato ribadita la necessità della sussistenza della predetta condizione);

- necessità dell’ispezione, per essersi già verificati in azienda comportamenti sleali del dipendente, non essendo all’uopo sufficiente l’astratta possibilità che tali eventi pregiudizievoli possano iniziare a verificarsi;

- idoneità delle sottrazioni ad incidere negativamente sul patrimonio, per il valore intrinseco dei beni asportati, ovvero per la ripetitività delle sottrazioni, conseguenti alla facoltà di occultamento degli stessi;

- ricomprensibilità dei beni da tutelare in una delle tre categorie sopraddette, la cui indicazione ha carattere tassativo, rimanendo, quindi, escluso il danaro.

Una volta ritenuta l’esistenza del requisito suddetto ed intervenuto l’accordo con le R.S.A., l’ispezione potrà avere luogo sempre secondo precise e determinate modalità, quali sono le seguenti:

- necessità del consenso dell’interessato, indispensabile per l’effettuazione del controllo (M. TATARELLI. I poteri del datore di lavoro privato e pubblico, Cedam, 1996, 175, precisa che il lavoratore, interessato al controllo, potrà rifiutarsi di sottoporsi alla visita, ma, in tal modo, si esporrà all’esercizio del potere disciplinare, concretando il rifiuto violazione di un obbligo, che trova la sua fonte nel contratto di lavoro. In giurisprudenza, si veda Cassazione civile, sez. lav., 19 novembre 1984, n. 5902, in Giust. civ., 1985, I, 320);

- esecuzione delle visite all’uscita dai luoghi di lavoro;

- salvaguardia della dignità e della riservatezza del lavoratore;

- individuazione del lavoratore mediante l’uso di sistemi di rilevazione automatica, riferiti alla collettività o a gruppi di dipendenti;

- divieto di ricorrere alla palpazione o spoliazione, anche parziale, alla luce del divieto di ingerenza nell’intimità anche fisica della persona. Il controllo deve avvenire attraverso l’invito a mostrare quanto portato indosso o in borsette o borselli, che, costituendo pertinenze dirette dell’abbigliamento, soggiacciono allo stesso regime [3]. Sempre a tale proposito, il datore di lavoro non può, ovviamente, porre in essere perquisizioni su oggetti del dipendente o sulla sua vettura, potendo la perquisizione personale o locale essere compiuta solo da un ufficiale di polizia giudiziaria, allorquando vi siano fondati motivi di ritenere che taluno occulti cose pertinenti a reato, previo decreto motivato dell’autorità giudiziaria (in giurisprudenza, si veda: Cassazione civile, 19 novembre 1984, n. 5902, in Foro it., 1985, I, 439).

Con riferimento a quest’ultimo requisito, rilevante appare l’orientamento prevalente della giurisprudenza di merito [4], la quale, in più di un’occasione, ha stabilito che allorquando l’ispezione debba avere ad oggetto l’armadietto-ripostiglio di un lavoratore, quest’ultima possa avere luogo senza la necessità di un preventivo accordo con le R.S.A., in quanto l’armadietto-ripostiglio non può essere ricompreso nel concetto di "visita personale", essendo uno spazio di proprietà aziendale e avendo l’esclusiva funzione di contenere gli abiti civili dei lavoratori, durante l’orario di lavoro, non costituendo, quindi, una pertinenza della persona del lavoratore a differenza dei suoi vestiti, sia indossati sia appoggiati, e a differenza anche di cartelle, sporte o contenitori d’uso, sia portati al momento sia lasciati da qualche parte.

 

Art. 2 St. Lav.: le guardie giurate e la tutela del patrimonio aziendale

 

Il legislatore italiano ha avuto cura di garantire la tutela del patrimonio aziendale non soltanto con la previsione contenuta nel disposto dell’art. 6 della legge del 1970, ma altresì con un’ulteriore norma, l’art. 2 della medesima legge, mediante la quale sono state disciplinate le modalità di controllo posto in essere dalle ^guardie giurate^.

Infatti, la norma in questione conferisce al datore di lavoro la possibilità di impiegare le cosiddette guardie particolari giurate "soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale", cioè della custodia e vigilanza delle proprietà mobiliari ed immobiliari del datore di lavoro [5], non attribuendo loro la facoltà di "contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale".

La disposizione in esame ha, conseguentemente, limitato l’uso delle guardie giurate ai soli scopi di tutela del patrimonio aziendale nell’espresso intento di evitare che la vigilanza ed il controllo sull’attività lavorativa siano svolti attraverso personale che, per la qualifica posseduta, potrebbe ingenerare nei dipendenti un clima di timore e preoccupazione [6].

Di qui la previsione di tre divieti:

- divieto di contestare ai lavoratori fatti ed azioni non attinenti alla tutela del patrimonio;

- divieto di utilizzazione con finalità di vigilanza dell’attività lavorativa, demandata dal successivo art. 3 St. Lav. ad apposito personale;

- divieto di accesso nei luoghi di lavoro in pendenza di svolgimento dell’attività produttiva, tranne che, eccezionalmente, per specifiche e motivate esigenze attinenti al compito istituzionale.

Con riferimento al primo divieto, le contestazioni sono limitate alla protezione del patrimonio aziendale, volte, quindi, ad impedire sottrazione, distruzione o deterioramento dei beni, che siano a qualsiasi titolo nella disponibilità dell'imprenditore; quanto a luogo e modo, non sono sottoposte a particolari vincoli di legittimità, infatti:

- non dovranno necessariamente avvenire sul luogo di lavoro e con il carattere dell’immediatezza;

- potranno essere precedute da indagini volte all’accertamento dei comportamenti lesivi;

- è consentita la verbalizzazione delle dichiarazioni rese dal destinatario delle contestazioni o da terzi, dalle quali il giudice potrà trarre elementi di valutazione.

In ordine al secondo divieto, la definizione dei compiti posti in essere, per tutelare il patrimonio aziendale, deve essere improntata a criteri di carattere restrittivo, e cioè:

- l’indagine compiuta dalle guardie giurate non sarà consentita in presenza di inadempimenti di obblighi contrattuali del prestatore di lavoro e del pericolo di pregiudizio che ne deriva, poiché l’inadempimento deve essere ricondotto, al pari dell’adempimento, a quell’attività lavorativa che è sottratta alla vigilanza;

- l’indagine posta in essere dalle citate guardie dovrà, al contrario, ricomprendere la vigilanza sui lavoratori limitatamente ad atti e comportamenti degli stessi che siano configurabili come fonte di responsabilità extracontrattuale nei confronti del datore di lavoro.

Quanto all’ultimo divieto, l’eccezionale intervento delle guardie giurate può avvenire, nei locali di svolgimento dell’attività lavorativa, solo allorquando ricorra un’urgenza che non consenta il normale ricorso agli organi di polizia giudiziaria.

Infatti, l’espressione "per specifiche e motivate esigenze" di tutela del patrimonio aziendale va riferita non ad ipotesi di particolare valore degli strumenti e delle materie prime utilizzate nella lavorazione – ipotesi espressamente prevista dall’art. 6 dello St. Lav. – ma ad una eccezionalità rispetto ad avvenimenti estranei all’usuale svolgimento dell’attività produttiva, tali da esporre i beni aziendali a rischi estranei al limite normalmente inerente alla loro realizzazione, ovviamente da verificare con valutazione "ex ante" [7].

Giunti a questo punto dell’esposizione della relazione appare rilevante porsi un quesito.

Infatti, sia in dottrina [8] sia in giurisprudenza [9] è sorto il problema di capire se l’attività di vigilanza sul patrimonio debba ritenersi funzione istituzionalmente riservata alle guardie giurate o se, invece, il datore di lavoro possa attribuirla ad altri soggetti non muniti di apposita licenza prefettizia.

La Suprema Corte [10] ha aderito alla seconda prospettazione, alla luce della mancanza di una norma che riservi l’espletamento dell’attività in via esclusiva alle guardie, ovviamente senza i poteri e le attribuzioni che a queste derivano dal particolare "status".

Il problema si è posto, nella pratica, per l’attività di controllo da porre in essere al fine di reprimere i furti e le appropriazioni indebite da parte del personale, situazione peraltro analoga a quella che qui ci occupa.

A tale proposito, la Corte di Cassazione (vedi sentenze citate in nota) ha costantemente ritenuto che per la repressione di quanto poc’anzi citato il datore di lavoro può affidarsi ad "investigatori privati" o a "personale ispettivo dipendente", la cui attività non contrasta ne con l’art. 3 St. Lav., poiché la vigilanza da essi espletata attiene non all’attività lavorativa, cioè ai modi e tempi della prestazione oggetto di contratto, ne con l’art. 4 St. Lav., che si riferisce esclusivamente all’uso di apparecchiature per il controllo a distanza, non applicabile analogicamente in quanto penalmente sanzionato, con conseguente utilizzabilità delle risultanze di controllo ai fini della prova della sussistenza dell’infrazione contestata.

Ma vi è di più.

Da una recente pronuncia della giurisprudenza di legittimità – Cassazione civile, sez. lav., 18 febbraio 1997, n. 1455, in Giust. civ., 1997, I, 1261 – si evince chiaramente che al datore di lavoro è addirittura conferita l’opportunità di “utilizzare personale, non indicato formalmente alle maestranze come di sorveglianza, per accertare eventuali attività illecite dei lavoratori.

Dalla motivazione della sentenza in esame emerge, altresì, che “le norme degli art. 2 e 3 della l. 20 maggio 1970 n. 300, che garantiscono libertà e dignità del lavoratore, non escludono – secondo consolidato orientamento di questa Corte – il potere dell’imprenditore di controllare, direttamente o mediante la propria organizzazione – e, quindi, di adibire a mansioni di vigilanza determinate categorie di prestatori d’opera, anche se privi di licenza prefettizia di guardia giurata, ai fini della tutela del proprio patrimonio, mobiliare ed immobiliare, all’interno dell’azienda (indifferentemente, in ambienti chiusi od in aree all’aperto) – l’adempimento delle prestazioni lavorative, ossia di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, già commesse o in corso di esecuzione. Ciò senza che tale potere subisca deroga dalla normativa in materia di pubblica sicurezza ed indipendentemente dalla modalità di controllo, che può legittimamente avvenire anche occultamente, non ostandovi né il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei rapporti né il divieto di cui all’art. 4 della stessa l. n. 300 del 1970”.

La nota, messa a postilla della presente pronuncia di legittimità, si concentra espressamente sul cosiddetto "furto del lavoratore denunciato da colleghi", fattispecie alquanto nuova, e dalla stessa si denota che allorquando il controllo venga posto in essere tramite un’agenzia investigativa, benchè possa essere considerato "occulto" in riferimento all’art. 3 St. Lav., è stato avallato, affermandosi che, in tali ipotesi, non si controlla propriamente l’attività di lavoro in termini di regolarità e di diligenza, ma l’attività illecita certo non dedotta nel contratto di lavoro.

Di tal guisa è anche il restante orientamento giurisprudenziale: Cassazione civile, sez. lav., 12 giugno 2002, n. 8388, in Giust. civ. Mass., 2002, 1000;Cassazione civile, sez. lav., 2 marzo 2002, n. 3039, in Giust. civ. Mass., 2002, 372; Tribunale di Milano, 28 febbraio 2002, in Orient. giur. lav., 2002, I, 116; Cassazione civile, sez. lav., 14 luglio 2001, n. 9576, in Giust. civ. Mass., 2001, 1395; Cassazione civile, sez. lav., 23 agosto 1996, n. 7776, in Giust. civ. Mass., 1996, 1216; Cassazione civile, sez. lav., 18 settembre 1995, n. 9836, in Foro it., 1996, I, 609; Cassazione civile, sez. lav., 25 gennaio 1992, n. 829, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 2; Cassazione civile, sez. lav., 9 giungo 1989, n. 2813, in Giust. civ. Mass., 1989, fasc. 6; Cassazione civile, sez. lav., 19 luglio 1985, n. 4271, in Orient. giur. lav., 1985, 1012; Cassazione civile, sez. lav., 10 maggio 1985, n. 2933, in Giust. civ. Mass., 1985, fasc. 5; Cassazione civile, sez. lav., 3 maggio 1984, n. 2967, in Giust. civ. Mass., 1984, fasc. 5; Cassazione civile, sez. lav. 7 febbraio 1983, n. 1031, in Foro it., 1985, I, 440.

 

Art. 3 St. Lav.: il personale di vigilanza

 

Come ultimo argomento da affrontare, nella presente relazione, riguarda la previsione dell’art. 3 della legge del 1970, che contempla il "personale di vigilanza", stabilendo che “i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati”.

Appare evidente che il personale, menzionato dalla norma in questione, ha il compito di contestare ai lavoratori – o di riferirne a chi ne ha la facoltà – azioni o fatti ^diversi^ da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale e purchè attengano all’esecuzione della attività lavorativa [11].

Come già si è precisato nel paragrafo precedente e come risulta altresì da una risalente pronuncia di merito (Tribunale di Milano, 9 gennaio 1979, in Orient. Giur. Lav., 1979, 253), si deve ancora una volta ribadire che la disposizione dell’art. 3 St. Lav. non tutela chi compie furti in azienda, perché il furto non è mai svolgimento, sia pure irregolare, di attività lavorativa, ma un’aggressione del patrimonio aziendale la quale trova nell’attività lavorativa non la causa ma l’occasione per la sua migliore esplicazione.

Pertanto, la condotta del ladro è un’attività che non può ricadere sotto le garanzie dell’art. 3 St. Lav.: in tal caso, infatti, l’azienda torna libera di difendere il proprio patrimonio con i controlli ritenuti più opportuni, nei limiti del rispetto della libertà e dignità del lavoratore, ma senza i particolari accorgimenti dettati dalla disposizione in questione.

[1] Sul punto, si veda M. TATARELLI, I poteri del datore di lavoro privato e pubblico, Cedam, 1996, 175.

[2] M. TATARELLI. I poteri del datore di lavoro privato e pubblico, Cedam, 1996, 175; R. RICCI, F. SAFFIRIO, Il rapporto di lavoro privato subordinato, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, (a cura di) W. BIGIAVI, Utet, 1981, 961

[3] In giurisprudenza, si vedano: Consiglio di Stato, sez. VI, 10 ottobre 2002,n. 5439, in Foro amm. CDS, 2002, 2541; Pretura di Pordenone, 8 febbraio 1997, in Riv. pen., 1997, 845; Cassazione civile, sez. lav., 10 febbraio 1988, n. 1461, in Giust. civ. Mass., 1988, fasc. 2; Pretura di Milano, 22 gennaio 1987, in Orient. giur. lav., 1988, 15.

[4] Pretura di Milano, 9 ottobre 1996, in Lavoro nella giur., 1997, 242; Pretura di Milano, 11 maggio 1996, in orient. giur. lav., 1996, 536.

[5] M. TATARELLI, I poteri del datore di lavoro privato e pubblico, Cedam, 1996, 164.

[6] M. TATARELLI, I poteri del datore di lavoro privato e pubblico, Cedam, 1996, 165.

[7] M. TATARELLI, I poteri del datore di lavoro privato e pubblico, Cedam, 1996, 166.

[8] M. TATARELLI, I poteri del datore di lavoro privato e pubblico, Cedam, 1996, 167; O. MAZZOTTA., Diritto del lavoro, in Trattato di diritto privato, (a cura di) G. IUDICA, P. ZATTI, Giuffrè, 2002.

[9] Cassazione civile, 17 gennaio 1990, n. 205, in ; Cassazione civile, 7 febbraio 1983, n. 1031, in Riv. it. dir. lav., 1983, 633; Cassazione civile, 24 marzo 1983, n. 2042, in Dir. Lav., 1984, 496.

[10] Cassazione civile, sez. lav., 18 febbraio 1997, n. 1455, in Giust. civ., 1997, I, 1261; Cassazione civile, sez. lav., 25 gennaio 1992, n. 829, in Riv. giur. lav., 1992, II, 461; Cassazione civile, sez. lav., 24 marzo 1983, n. 2042, in Dir. Lav., 1984, 496.

[11] AA. VV., Statuto dei diritti dei lavoratori, in Commentario del codice civile, (a cura di) A. SCIALOJA, G. BRANCA, Zanichelli, 1979, 14.