SENTENZA N.405 ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: - Dott. Renato GRANATA Presidente - Prof. Giuliano VASSALLI Giudice - Prof. Francesco GUIZZI " - Prof. Cesare MIRABELLI " - Prof. Fernando SANTOSUOSSO " - Avv. Massimo VARI " - Dott. Cesare RUPERTO " - Dott. Riccardo CHIEPPA " - Prof. Gustavo ZAGREBELSKY " - Prof. Valerio ONIDA " - Prof. Carlo MEZZANOTTE " - Avv. Fernanda CONTRI " - Prof. Guido NEPPI MODONA " - Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI " - Prof. Annibale MARINI " ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 11, ultimo comma, e 138, primo comma, n. 4 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), promosso con ordinanza emessa il 13 giugno 1996 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione distaccata di Catania, sul ricorso proposto da Recupero Giovanni contro il Prefetto della Provincia di Catania ed altro, iscritta al n. 1314 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 prima serie speciale dell’anno 1996. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il Giudice relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto in fatto
1. — Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione distaccata di Catania, giudicando sul ricorso proposto da una guardia particolare giurata per l’annullamento del decreto prefettizio che negava il rinnovo dell’approvazione della sua nomina, e della domanda volta a sospenderne l’esecuzione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 11, ultimo comma, e 138, primo comma, numero 4, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza). Il Collegio rimettente ritiene irragionevole le disposizioni che in via generale prevedono il "riverbero automatico" della condanna penale sul rapporto di lavoro, e denuncia la mancanza di meccanismi che commisurino la reazione dell’ordinamento all’effettiva gravità del reato commesso (nel caso in esame, il provvedimento negativo è stato adottato in seguito alla condanna per emissione di assegno a vuoto). Ad avviso del giudice a quo, i meccanismi di adeguamento potrebbero assumere tre conformazioni: - l’esclusione di ipotesi delittuose meno gravi, individuate attraverso la fissazione di un limite di pena; - l’esercizio di un potere di valutazione discrezionale da parte dell’autorità di pubblica sicurezza; - la determinazione di un limite (misura della pena o tipologia dei reati) al di sopra del quale la misura amministrativa è automatica, e al di sotto del quale, invece, è ammesso un margine di apprezzamento discrezionale. "Soluzione intermedia" - avverte il rimettente - fra le prime due. Queste prospettazioni tengono conto dell’entità della devianza, mentre sarebbe irrazionale la previsione di conseguenze identiche rispetto a fatti di portata diversa: a tal riguardo nell’ordinanza di rimessione si richiama la giurisprudenza costituzionale che ha affermato il principio di proporzione e la regola del contraddittorio, a partire dalla sentenza n. 971 del 1988 fino alla n. 220 del 1995. Il giudice a quo non ignora che analoga questione è stata dichiarata infondata da questa Corte con la sentenza n. 326 del 1995, ma contesta il passaggio della motivazione in cui si nega che il provvedimento prefettizio di revoca abbia una "ricaduta diretta" sul rapporto di lavoro. La fattispecie in esame sarebbe affine alla situazione dei lavoratori portuali, oggetto della sentenza n. 220 del 1995, perché la revoca dell’approvazione prefettizia della nomina a guardia particolare giurata, o il diniego di rinnovo, comportano necessariamente l’interruzione del rapporto di lavoro. La normativa denunziata sarebbe fonte, altresì, di ingiustificata disparità di trattamento: l’automaticità della sanzione discrimina infatti le guardie giurate rispetto ai dipendenti pubblici e agli altri lavoratori privati, per i quali valgono il principio di proporzione della sanzione disciplinare con il fatto addebitato, e la garanzia del contraddittorio. Sarebbero violati pure gli articoli 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, in quanto la perdita del posto di lavoro avviene anche quando il comportamento illecito non sia espressione di significativa potenzialità criminosa: il sacrificio di beni e valori fondamentali è ammissibile, conclude l’ordinanza, soltanto nei limiti indispensabili alla tutela di altri interessi di rango costituzionale (sentenza n. 141 del 1996).
Considerato in diritto
1. — Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione distaccata di Catania, dubita della legittimità costituzionale degli artt. 11, terzo comma, e 138, primo comma, numero 4, del testo unico di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, perché la revoca automatica delle autorizzazioni di polizia a seguito di condanne per delitto (nella specie per l'emissione di assegni a vuoto) priva del titolo necessario per l'esercizio dell'attività lavorativa le guardie particolari giurate; questione sollevata in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha dichiarato illegittimi i meccanismi automatici di decadenza, per lesione del principio di gradualità e di articolazione del procedimento disciplinare. 2. — La questione non è fondata. La normativa introdotta dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza si basa sul principio secondo cui le autorizzazioni di polizia per la nomina a un impiego (nella specie, l’approvazione della nomina a guardia particolare giurata) devono considerarsi subordinate al permanere dei requisiti richiesti dall’ordinamento: è evidente che l’abbandono di tale principio e la sua sostituzione rientrano nelle valutazioni discrezionali del legislatore, sussistendo molteplici ipotesi di cambiamento, nessuna delle quali costituzionalmente obbligata (sentenza n. 776 del 1988, Considerato in diritto, n. 3). Il giudice a quo ne è consapevole, e cerca nella giurisprudenza di questa Corte sulla "destituzione di diritto" elementi che consentano di temperare il sistema attuale, che è fonte, a suo avviso, di gravi disparità, introducendo margini di valutazione discrezionale, in modo tale da non danneggiare l’attività lavorativa di chi sia incorso in condanne per reati di lieve entità e limitato allarme sociale. Tuttavia, non può evocarsi il principio di gradualità e articolazione del procedimento con riguardo all’accertamento che la pubblica amministrazione è tenuta a compiere sulla sussistenza dei requisiti soggettivi richiesti per l’accesso all’impiego. Mentre i provvedimenti che portano alla destituzione (o alla decadenza ex legge 18 gennaio 1992, n. 16) non possono avere carattere automatico, perché è necessario ponderare ogni singolo caso attraverso il procedimento disciplinare, secondo il principio affermato nella sentenza n. 197 del 1993 (v. anche le sentenze nn. 16 del 1991, 158 e 40 del 1990), nell’"accesso all’impiego" occorre che i requisiti soggettivi siano definiti in termini univoci dal legislatore. Ciò vale per l’impiego pubblico, e per il lavoro privato che sia soggetto ad autorizzazione amministrativa, perché i tratti pubblicistici che segnano la categoria delle guardie giurate, differenziandole da altri prestatori d’opera (sentenza n. 326 del 1995 e ordinanza n. 272 del 1992), giustificano tale meccanismo autorizzatorio, ancorato alla sussistenza, e al permanere nel tempo, dei requisiti soggettivi richiesti dall’ordinamento. Va dunque esclusa l’irragionevolezza della norma denunciata; né possono utilmente invocarsi - in una situazione del tutto peculiare - gli artt. 4 e 35 della Costituzione, che l’ordinanza richiama d’altronde in modo generico. 3. — Il Tribunale rimettente ammette che vi sono altre opzioni normative da valutare, oltre quella che mira a introdurre uno spazio di apprezzamento discrezionale delle singole posizioni soggettive; riconosce, dunque, che la materia si presta a varie soluzioni, nessuna delle quali è costituzionalmente obbligata. E se gli argomenti addotti ripropongono il tema della revisione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, con riguardo al "riverbero automatico" della condanna penale sul rapporto di lavoro, essi non consentono a questa Corte di modificare l’indirizzo assunto con la sentenza n. 326 del 1995: la questione va quindi dichiarata non fondata.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 11, ultimo comma, e 138, primo comma, numero 4, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione distaccata di Catania, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1997.
Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1997.
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